di Letizia Mantovani
Una bara fatta di cartone, ricoperta da due bandiere, quella palestinese e quella italiana; intorno tanta gente, uomini, donne, bambini, quei bambini che Vittorio sapeva come far sorridere, anche nei momenti più bui e difficili. Aveva deciso di vivere insieme a loro, di dare tutta la sua vita per quella gente e quella terra, ogni momento, con l’unica speranza di vedere, un giorno, quella gente e quella terra finalmente liberi. Anche nei giorni più terribili, durante l’operazione “Piombo Fuso”, Vittorio, unico occidentale presente nella Striscia di Gaza, aveva scelto di restare, deciso a raccontare tutto quello che stava accadendo in quella striscia di terra, mentre dall’alto scendevano bombe pronte a lanciarsi su ogni bersaglio umano si intravedesse nell’aria. Lo faceva per la sua gente, a cui aveva deciso di dedicare il suo cuore, e lo faceva per sé stesso, seguendo il suo immenso istinto di sentirsi umano, in ogni momento, e regalare tutta la sua umanità a chi gli stava intorno. Vittorio sapeva come muoversi, sapeva come parlare e come scrivere, e tra le sue righe riusciva sempre a mescolare parole dure di verità, di rabbia, di rancore.
Perché quando si vive ammassati dentro una stretta striscia di terra da dove non si può uscire e a cui nulla è concesso entrare, dove non si ha niente e l’unica cosa che vedi è un muro che ti sbarra la strada e ti tiene intrappolato dentro, allora le uniche parole che si possiedono sono parole di rancore e di dolore. Ma Vittorio, come tanti palestinesi, non ha mai perso le sue parole di speranza, credendoci fino alla fine.
La stupidità della guerra ha colpito ancora, perché Vittorio altro non è che l’ennesima vittima dell’occupazione israeliana che da oltre 40 anni affligge la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, portando i palestinesi a vivere una condizione d’inferno dove, a volte, l’unica strada che rimane è la pratica della violenza e di atti brutali e ingiustificati come il rapimento e l’uccisione di Vittorio.
Che l’esempio di Vittorio Arrigoni rimanga sempre vivo nei nostri cuori e la sua vita sia simbolo di una lotta non violenta contro l’ingiustizia e la cattiveria che divora il mondo.
Grazie Vik, amico e fratello.
Restiamo umani, tutti e sempre.
[foto: “18 anni” di E. Rinaldi]