Da stamattina l’Huffington Post apre con questa notizia, ribloggata dal sito del NYT.
Le più grandi imprese americane con interessi in Grecia stanno organizzando piani dettagliati su come non interrompere i propri business, in caso di un ritorno alla drachma, nel giro di un week end.
Ora, dando per affidabili le fonti del NYT, bisogna arrendersi all’evidenza dei fatti: se le più grandi multinazionali presenti in Grecia arrivano a preparare flotte di camion contenenti contanti da mandare oltre confine, per poter continuare a pagare i propri dipendenti e fornitori, significa che l’aria che si respira in Grecia è – senza ormai alcun dubbio – quella miasmatica della bancarotta definitiva.
Sono mesi che scrivo che Grexit è solo questione di tempo.
Altra cosa che scrivo da mesi è che – per quanto a questo punto sia inevitabile e giusto affrontarla – per poter almeno sperare in una salvezza del resto dell’Europa, è necessario creare una barriera definitiva contro l’effetto domino: il contagio dei paesi periferici e, a seguire, della Francia.
Che questa barriera si chiami Eurobond, sistema interbancario europeo, o scudo antispread (o, ancora meglio, una combinazione di questi) a questo punto poco importa.
E’ necessario fare un passo in questa direzione.
Draghi ha fatto e sta facendo il possibile per anestetizzare i mercati e far guadagnare tempo ai governi.
Ma siamo agli sgoccioli.
Al Festival di Trento George Soros, in un intervento illuminato ripreso successivamente da Christine Lagarde, ha detto che l’Europa avrebbe avuto a three months window per salvarsi.
Era inizio giugno.