Pupi Avati spa

Ritrovandomi del tutto spaesato – anche se ancora parzialmente spesato – continuavo a osservare afasico quella contravvenzione a cui ero incautamente pervenuto superando di 6 km/h il limite massimo dei 60 km/h. Neanche una magnanima tolleranza strumentale del 5 per cento (ciò che rende un autovelox marca SODI modello 105 SE perfettamente equiparabile a un vigile urbano, motivo per cui ricevono entrambi le ultime offerte di Fastweb) mi aveva permesso di rientrare nei limiti del vivere civile: “l’autoveicolo *** ha violato l’art. 142/2-7 del C.d.S. poiché: circolava superando di Km/h 1,00 (61 Km/h) la velocità massima consentita”.

Una multa per eccesso di vitalità.

Contravvenivo. Come sospirava la mia ragazza: “contravvieni, contravvieni”. Ora ci chiediamo – non io e lei, io e tutti – se ci caghiamo, più. “Sì, ti vago”, vorrei rispondere ai tanti che chiedono la mia disattenzione: “non posso mangiare l’aglio, sto allattando”, dice la barista al cliente, e da questo ne deduco che i bambini sono vampiri. Frammenti, fra menti sature, del satiro che imitando Matteo Renzi spera forse di affossarlo, dell’Uomo che si vorrebbe contravvenutone fuori pulito e che invece* è venuto dentro, il corpo vilipeso del Paese.

Con il Paese che diventa un vile peso da sostenere, muffo, stantio. Nonostant’io, che mi sento comunque allegro dentro (ho speso tutti i soldi che avevo per riconvertire la sequenza del mio DNA nella partizione musicale di “Gimme gimme gimme (a man after midnight)” degli ABBA).

Non troverete, in questo scritto, melensaggini da vecchie signore che sorseggiano il tè sgranocchiando cristiani da pasticceria; non troveranno, i più sofisticati intellettuali tra di voi, raffinate elucubrazioni geopolitiche sulle sorti del Paese e del mondo intero dopo che Enrico Letta sarà costretto a ripassare il palo da lap dance al prossimo meeting di Eurolandia; niente di tutto questo.

Per un articolo così nobile, che sollevi il problema della mafia in Emilia, ho pensato che far valere le mie antiche conoscenze di giornalista radiofonico potesse essere la soluzione ai problemi di visibilità relativi a questa delicata questione.

Sono state sufficienti un po’ di agilità e una gomitata contro una finestra per entrare in casa del noto regista bolognese Pupi Avati e scambiare la sceneggiatura del suo prossimo film con un canovaccio da me abbozzato sulle tematiche della mafia al Nord, con particolare riferimento all’Emilia. Sicuro che il Maestro apprezzerà il mio sforzo di instradarmi lungo il sentiero della sua poetica, trascrivo qui l’abbozzo del prossimo film di Pupi Avati.

Bologna, settembre 1938. Esterno, mattina. Alcuni marmocchi portano via la nonna di Zucchero e la rinchiudono “dove ci sta la legna”. Da lontano si vede sopraggiungere una carrozza. Il cocchiere reca qualcosa sottobraccio: è la testa del suo cavallo. I marmocchi vengono redarguiti dalla signora Malvezzi ve’ che chiamo l’Enrica Lecca e le pesti si disperdono urlando.

“Ha fatto buon viaggio, don ci Casco?”. Splendido risponde il don alla signora Malvezzi, saltando giù dalla carrozza con il petto gonfio come un boa. Un granaio esplode. Alcuni vecchi si voltano sorpresi, poi tornano a infilarsi le pipe nel naso. Anche la carrozza esplode. Un pastore nasconde un bazooka dietro un paio di pecore che, stordite dall’anfetamina, si credono nuvole. Il cielo scende fino a toccarle, almeno dal loro punto di vista. Tutto intorno, i marmocchi prendono in giro le pecore drogate.

La sera, a cena, gli ospiti di casa Malvezzi sono riuniti per un saluto comune al don il quale, volendo ribadire la sua gioia di essere lì, fa ampio uso della deissi spaziale per disorientare i domestici. La signora Malvezzi lo fa accomodare nella stessa stanza di Vilberto Trucioli, un giovane medico molto promettente che ha appena difeso una tesi dal titolo “Fattori genetici e ambientali nell’eziologia della Cristofobia da sforzo” faccia come fosse a casa sua e Manlio don ci Casco, in un certo senso, ci sta davvero a casa sua; riesce a riconoscere il gusto architettonico della famiglia Grandi Acàri, soprattutto nella scelta dell’amianto per fugare i pavimenti.

Mi presento, Manlio don ci Casco: turbo pubblici incanti e subito il don attacca a raccontare la sua storia di figlio del sarto del Papa, del fatto che per lui non c’è più posto in sartoria ora che il padre si è messo in affari con i cinesi, e che i cinesi erano sbucati fuori un giorno, chissà come, nel loro sottoscala eccetera eccetera questi tutto in nero eccetera eccetera d’un tratto la porta si spalanca, si incendia il becco di un’anatra, il matto del paese guarda, dalla finestra che ride.

Mattina. L’idea che potrebbe avere Flavia Vento di una scolaresca salterella cantando al contrario una canzone di Gianni Morandi ma si blocca improvvisamente quando alcuni si accorgono che stanno intonando frasi tratte dal celebre Libro del Saccomanno, uno scritto medievale anonimo di Umberto Eco che racconta dell’utilità del Ministero dell’Economia dal punto di vista di un ostrogoto. Vengono pubblicate le leggi razziali ma questa volta Sallusti non c’entra. Una radio d’epoca dà l’annuncio che quella radio è d’epoca. Una tipica famiglia bolognese inspiegabilmente vestita anni ’30 ascolta l’annuncio come se nessuno di loro avesse mai visto un I-Phone 5.

Bussano alla porta: è don ci Casco. Il nonno di famiglia, vestito come Francesco Giuseppe, consegna del denaro dopo una rapida colluttazione. Inquadratura di Bologna a volo d’uccello. Un piccione cade nel caffellatte di un operaio che non se lo poteva permettere (il piccione o il caffellatte? tutti e due? chiarire il punto).

Stacco. Portici di via Saragozza, Bologna (per questa scena sentire comune di Torino). Assistiamo alle divertenti storie del gruppo di amici del Bar Waselina: Alì, il numero uno del gruppo, è un imprenditore che si è fatto strada vendendo scalca-anatre agli egiziani. Beep-beep, di famiglia ricca ma cosparso di penne, è sempre in cerca di una fidanzata che riesca a stare al suo passo. C’è anche Zan, un antennista dagli occhi buoni, passa il suo tempo a sintonizzare i canali Mediaset per le televisioni degli istituti psichiatrici (dicono che li faccia stare buoni) e infine Marcelo, ex attore di telenovelas argentine, che per fare soldi si è messo a smerciare ciclamini di contrabbando. La festa finisce quando don ci Casco entra nel bar Waselina con un paio di slot machine in cui vinci solo se completi una serie di ritratti di Michele Serra.

Vilberto Trucioli risale via della Dipendenza a braccetto con la sua compagna non vedente, la signorina Itala Colabrodei, e le recita “alcune cose di Lucrezio” come vitaque mancipio, nulli datur, omnibus usu e conveniamo che nulla si origina dal nulla, a parte le ricchezze di Silvio Berlusconi quando si imbattono in don ci Casco. Quest’ultimo invita entrambi a una cena al buio, dove “si potranno fare le cose che fanno i ciechi, come credere che sia okay affidare l’ampliamento di una discarica comunale a una ditta che si chiama ‘Ciampà Paolo Srl’ o gridare ‘c’è solo un presidente’ a Pierluigi Bersani”. Alla fine della cena, Itala esce a braccetto con don ci Casco mentre Vilberto perde polenta dalle orecchie. Uno strillone vende ÜberMenschHealth: è Matteo Renzi.

Pomeriggio, interni dell’ospedale Sant’Ursula Andress di Bologna. Il giovane medico Vilberto Trucioli sta ripassando la regione sacro coccigea su un’infermiera in servizio quando Manlio don ci Casco entra e depone il suo anulare inanellato sulla scrivania del medico bolognese un mese a letto completamente fermo e se ne va. Per Vilberto si apre un mese di inferno, costretto ad ospitare l’amico del don, un tizio che non si vergogna di nulla e che giunge perfino a chiamare donnine compiacenti a soddisfare i suoi istinti animaleschi davanti agli occhi di alcuni bambini che sono ricoverati con lui nella stessa stanza che c’è di male? gli poteva andare peggio: potevo essere prete.

La storia finisce con Vilberto Trucioli che diventa presidente di FederFeccia, trova un escamotage (non prima di aver dichiarato che le lumache a lui non gli piacciono) per intestare al figlio minore la ditta con i conti in rosso. La moglie, Itala Trucioli Colabrodei, nel frattempo ha riacquistato la vista a Ginevra, una magra consolazione rispetto agli oneri del fallimento ma meno male che c’è nostro figlio. Bologna viene sconvolta da un terremoto talmente potente che le due torri ne escono raddrizzate. Manlio don ci Casco giunge sui luoghi in rovina, stringe mani, drizza baffi (soprattutto altrui). Il giornalista Gigi Pagliazzi prenda nota di ciò che ha visto e torna a casa.

Bologna, mattina. Interno. La moglie di Gigi Pagliazzi, Gigliola Cloaca, è intenta a scrivere una lezione universitaria sull’Audigier e il “Cavaliere sul letamaio” senza usare la parola “merda”. Gigi Pagliazzi solleva il capo dall’articolo:

Pagliazzi: (schioccando le dita) Gigliola, com’è che si dice quando uno impone a un altro di farlo lavorare coi subappalti, pagandolo o picchiandolo con un merluzzo fresco?

Gigliola Cloaca: intimidazione mafiosa, caro.

Pagliazzi (battendo il pugno sul tavolo, poi, in modo affettato): la mafia, certo. D’altronde sono cose che non succedono qui da noi, a Bologna. (Sorride) Come vuoi che faccia a ricordarmele?

Stacco … Bologna, settembre 1938. Esterno, mattina. Alcuni marmocchi portano via la nonna di Zucchero e la rinchiudono “dove ci sta la legna”. Da lontano si vede sopraggiungere una carrozza. Il cocchiere reca qualcosa sottobraccio: è la testa del suo cavallo. I marmocchi vengono redarguiti dalla signora Malvezzi ve’ che chiamo l’Enrica Lecca e le pesti si disperdono urlando …

Stacco. Bologna, tempo presente. Gigi Pagliazzi abbandona la scrivania, si stende per terra, si rannicchia in posizione fetale. La moglie, in grande agitazione, gli domanda come si sente, se non sia il caso di chiamare subito un medico:

Pagliazzi (con toni bambineschi molto affettati):

ho paura, Gigliola. Ho tanta paura dell’Enrica Lecca.

Titoli di coda.

*(Florence Multimedia, con 9,2 milioni di euro fatturati a un’impresa di Matteo Spanò, manager di Florence e amico di Renzi; le fatture dell’ex tesoriere Margherita Luigi Lusi a Web&Press srl di Patrizio Donnini per sostenere le primarie di Renzi a sindaco di Firenze, lo stesso Donnini che cede le quote di DotMedia ad Alessandro Conticini, socio dei famigliari di Renzi; e Matteo Spanò, assurto a presidente dell’associazione Museo dei ragazzi che affida il lavoro di comunicazione per l’evento “Notte tricolore” del 16 marzo 2011 alla DotMedia, di proprietà di Spanò stesso e di Conticini);**

** Sì ma se stiamo a guardare anche alle minime cose non si salva nessuno, dai.  

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